News48.it Donne, lavoro e pandemia: la ripartenza secondo Women at Business

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Nella nostra società, quella occidentale, la condizione della donna lavoratrice si è evoluta ma, nonostante l’abbondante produzione normativa dell’ultimo secolo e mezzo, persiste una disparità di genere significativa, legata a molti fattori:

  • difficoltà di accedere al lavoro
  • difficoltà di conciliare famiglia e lavoro
  • disparità di guadagno
  • scarsa e irrilevante rappresentatività
  • ostacoli di natura sociale, culturale e psicologica apparentemente invisibili ma fortemente connotanti.

 

L’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE) ha fatto una stima del tempo necessario a raggiungere la parità nel caso in cui l’evoluzione proseguisse al ritmo di oggi. Parliamo di 60 anni.

Se ci focalizziamo sul lavoro femminile, il quadro europeo è molto vario, ma l’Italia resta indietro: oltre all’essere donna, che nel nostro paese è già di per sé uno svantaggio oggettivo, l’essere madre rende il quadro drammatico, soprattutto al sud e nelle isole. Dai dati dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro del 2019, quindi in un contesto pre-pandemico, le dimissioni o le risoluzioni consensuali di lavoro di lavoratori padri e lavoratrici madri hanno riguardato 51. 558 persone. Per quanto in aumento le dimissioni dei padri, la disparità è ancora enorme: nel 2019 7 provvedimenti su 10, cioè 37.611 (72,9%), hanno riguardato le lavoratrici madri.

In 21.000 casi il motivo addotto per le dimissioni è stata “l’oggettiva difficoltà di conciliare il lavoro con le esigenze dei figli” e, in particolare:

  • l’assenza di parenti di supporto per la gestione dei neonati (15.505 casi)
  • l’elevato costo di assistenza ai neonati, come baby-sitter o asili nido (4.260 casi)
  • il mancato accoglimento al nido (965 casi).

 

Numerose ricerche rilevano, inoltre, che le donne che diventano mamme sperimentano un decremento del proprio reddito associato alla maternità, il cosiddetto child penalty, rilevato per i redditi delle madri ma non per quelli dei padri.
In Italia, secondo quanto osservato dalle analisi dell’Inps “la penalità è molto pronunciata nel breve periodo, in particolare nell’anno del congedo e in quello successivo, ma permane anche a diversi anni di distanza dalla nascita. A quindici anni dalla maternità i salari lordi annuali delle madri sono di 5.700 euro inferiori a quelli delle donne senza figli rispetto al periodo antecedente la nascita“.

 

La pandemia e il lavoro femminile in Italia

Anche la pandemia, circostanza mai sperimentata prima dalle generazioni nate e cresciute nell’era repubblicana, ha modificato completamente il mondo femminile, compreso quello del lavoro. Dai primi mesi del 2020 regole e divieti hanno contrassegnato la vita delle persone nel mondo: distanziamento sociale, mascherine, isolamento, hanno rovesciato abitudini e stili di vita. Nel corso di un anno, da stili di vita che incoraggiavano a vivere nel sociale, le persone si sono ritrovate chiuse in casa, con la tecnologia come unico mezzo per restare in contatto con amici e parenti.

In questo scenario, molte donne sono diventate madri, alcune per la prima volta, all’interno di un contesto sconosciuto, con percorsi di nascita modificati, attività cancellate o trasferite online, con una sensazione di ansia e insicurezza per la paura di essere contagiate o, peggio, che fossero contagiati i propri figli. Le donne con figli più grandi hanno convissuto con i propri timori e quelli dei figli, tra didattica a distanza, compiti e tempo libero, sempre con la preoccupazione delle ricadute psicologiche di tutto questo sul benessere psichico dei figli.
Sono state soprattutto le madri a risentire della crisi in corso, con un aumento del carico di cura non retribuito e una forte penalizzazione sul mercato del lavoro.

Ha scritto Fabio Mosca, presidente della Società italiana di neonatologia (Sin), nel libro “La denatalità: il punto di vista del neonatologo”: “diventare genitori negli ultimi 20 anni e in particolare oggi, in Italia, è una delle scelte più difficili e più impegnative che ci possano essere, perché le famiglie e le mamme lavoratrici, in particolare, devono cavarsela da sole: mancano politiche, strutture e risorse di sostegno alla famiglia e alle donne nella conciliazione dei tempi di vita e lavoro”.

 

Il lavoro difficile di donne e giovani

Donne e giovani sono due fasce della popolazione che già prima della crisi trovavano grandi difficoltà ad inserirsi e permanere nel mercato del lavoro. La pandemia ha acuito i divari preesistenti. I tassi di occupazione dei 15-64enni decrescono per entrambi i generi, passando al 67,2% per gli uomini (- 0,8%) e al 49% per le donne (- 1,1%). Si inaspriscono così anche i divari di genere, già consistenti in precedenza, che raggiungono nel 2020 la soglia dei 18,2 punti percentuali (p.p.). I divari di genere seguono i trend di quelli territoriali: se nel Nord e nel Centro si mantengono intorno ai 15 p.p., la forbice si allarga fino a 23,8 nel Sud e nelle Isole (dati Istat, 25/03/2020). Nel 2020, a causa della pandemia, sono svaniti in totale 456 mila posti di lavoro (un calo del 2% rispetto all’anno prima, che l’Istat definisce “senza precedenti”). Ad essere più colpite sono le donne: per loro il calo è di 249 mila unità (- 2,5%) rispetto ai 207 mila uomini (- 1,5%).

Nel solo periodo aprile-settembre 2020 la perdita di occupati registrata dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro rilevava che per l’Italia il calo di lavoratrici era doppio rispetto alla media europea (il 4,1% delle 15-64enni, a fronte del 2,1% della media UE), registrando la contrazione più elevata dopo la Spagna, ma che il nostro Paese è quello nel quale la disparità di genere nell’impatto della crisi è risultato il più elevato, con un gap di 1,7 p.p. tra uomini e donne (la contrazione è pari rispettivamente a -2,4 e -4,1. Secondo la Fondazione l’Italia “continua a rappresentare un unicum nello scenario europeo ed internazionale per quanto riguarda il lavoro femminile. A partire dal livello di partecipazione delle donne al lavoro, che da sempre si attesta su valori molto più bassi degli altri Paesi. Ma anche quando le donne accedono al lavoro, la loro condizione occupazionale continua ad essere caratterizzata da una debolezza strutturale che finisce per renderle più esposte ai rischi di espulsione dal mercato rispetto agli uomini e alle colleghe di altri Paesi.

Secondo un’indagine condotta dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano tra circa 8600 lavoratori/trici di organizzazioni pubbliche e private sul lavoro da remoto, le donne hanno riscontrato maggiori criticità nello smart working rispetto ai colleghi uomini; una delle ragioni è il maggior carico domestico e di cura di figli e famiglia, e conseguenti difficoltà di conciliazione tra vita privata e professionale.

L’Osservatorio stimava che, nel 2019, gli smartworker in Italia fossero, in totale, circa 570mila; nel corso dell’emergenza sarebbero improvvisamente passati a 6,58 milioni. I ricercatori stimano inoltre che, al termine della pandemia, le modalità di lavoro a distanza saranno in parte mantenute.
In particolare, se nel 2019 era mediamente possibile lavorare da remoto per un giorno alla settimana, i giorni passeranno a 2,7 nelle aziende private e 1,4 per le pubbliche. I lavoratori a distanza saranno circa 5,35 milioni (1,72 milioni nelle grandi imprese, 920 mila nelle PMI, 1,23 milioni nelle microimprese e 1,48 milioni nelle Pubbliche Amministrazioni).

 

La resilienza delle donne: il progetto Women at Business (WAB)

In questo contesto di evidente disparità, soprattutto riguardo al mondo del lavoro, le donne provano ad affrontare e superare la crisi, facendo rete, condividendo competenze e opportunità. Ne è un esempio la piattaforma Women at Business (WAB), un progetto per valorizzare e fare circolare le competenze delle donne attraverso un nuovo modello basato su competenze e progettualità.

 

Women At Business (WAB) nasce il 14 febbraio 2020 da un’idea di Laura Basili e Ilaria Cecchini che – seguendo i principi chiave di innovazione, accessibilità, inclusione e sostenibilità sociale – hanno deciso di dare vita ad un progetto per valorizzare e fare circolare le competenze delle donne.

Women At Business è la prima community di donne e aziende che usa l’innovazione di un algoritmo proprietario di matching, il quale propone la combinazione migliore tra due database: uno di competenze femminili e l’altro di progetti aziendali alla ricerca di queste competenze. Un progetto di economia circolare virtuosa basata su competenze altrimenti inutilizzate e perse.

 

Le donne a casa con competenze ed esperienze alle spalle o giovani donne che hanno appena finito il proprio ciclo di studio in cerca di un progetto da cui partire sono tante, troppe. Le donne iscritte al database Women At Business oggi sono più di 4000 e circa 100 i progetti aperti. WAB con il suo Manifesto Together, To-get-her è uno strumento concreto per aumentare l’occupazione femminile e per attuare l’obiettivo numero 5 (SDG#5) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per un futuro più sostenibile. 

 

Come è nato il progetto

L’idea di WAB è nata da un’esigenza personale e condivisa delle due fondatrici, ovvero il desiderio di avere un progetto professionale a cui dedicarsi. Hanno analizzato il mercato italiano nel settembre 2019, quindi in un contesto pre-pandemico, e si sono rese conto che le donne che rassegnavano le dimissioni per l’incapacità di conciliare lavoro ed esigenze familiari erano tantissime. Si sono chieste dove fossero finite e hanno deciso di riempire quel gap nel mercato italiano, occupandosi di tutte quelle donne che per un motivo o per l’altro avevano interrotto la propria carriera lineare, ma che avrebbero voluto reinserirsi nuovamente nel mercato del lavoro.

Durante gli studi e la creazione del modello di business sono state investite, come tutti, dalla pandemia che, come abbiamo descritto, ha acuito un problema preesistente: quello del lavoro femminile. “A nessuno sarà sfuggito l’alto numero legato al “disimpiego” del lavoro femminile e quante potenzialità sono rimaste inespresse o trattenute per dare priorità ad altre funzioni (anche temporali) come quelle spesso legate alla “cura “familiare. Passi indietro significativi che spesso impediscono di cogliere progetti e opportunità – affermano le creatrici di WAB.

L’obiettivo del loro progetto è avvicinare le imprese e i talenti professionali delle donne per creare un modello innovativo più etico e rispettoso di una nuova flessibilità e legato ad uno sviluppo sostenibile. Laura e Ilaria credono nel cambio di paradigma che permette l’adozione da parte delle aziende e delle persone di un modello di lavoro flessibile per obiettivi non legato necessariamente ai vecchi stereotipi come quelli dello stare in ufficio a oltranza. “Il progetto è stato costruito attorno alla nostra missione di valorizzare e fare circolare le competenze delle donne. Le donne a casa sono tante, per noi troppe – raccontano – Abbiamo creato perciò una community, una piattaforma on line che prevede due database: uno di competenze femminili e uno di progetti delle aziende. Il nostro modello di business prevede che le donne si iscrivano gratuitamente, mentre le aziende sostengono il nostro progetto di sostenibilità sociale delle competenze femminili anche da un punto di vista economico“.

 

Come fare incontrare le esigenze femminili e quelle aziendali?

L’incontro tra aziende e donne professioniste avviene attraverso un algoritmo di matching oggettivo e meritocratico. “Ci piace definirci una via di mezzo tra Linkedin, perché l’ambito è professionale, Tinder per il matching, e Bumble perché è women driven. Anche l’offerta commerciale è stata pensata sulla nostra missione: una membership annuale all inclusive in cui si possono ricercare competenze illimitate. Il nostro obiettivo è offrire il maggior numero possibile di opportunità alle donne della nostra community – raccontano Laura e Ilaria che raccontano di aver identificato un partner tecnologico che le supportasse nella creazione della piattaforma e dell’algoritmo. “Si tratta di Sys Dat, un’azienda che opera nel campo del ICT da 30 anni, che ha creduto nel progetto da subito e ha messo a disposizione il loro know how.
Una partnership fondata sulla condivisione di valori e sfide continue“. E poi aggiungono: “Abbiamo una squadra di Ambassador del territorio che ci aiuta a individuare e a contattare le aziende. Sono 7 donne con storie bellissime, in parte trovate grazie al nostro algoritmo di matching, in parte sono loro che hanno trovato noi contattandoci direttamente dopo aver letto di noi o addirittura mediante la call fatto via radio a RTL 102.5. Hanno creduto fin da subito nel progetto e lo vivono come un momento di rinascita personale e di give back per le altre donne. La rete tra donne è fondamentale e quando funziona è un’arma molto potente – continuano Laura e Ilaria – le donne che fanno parte della community sono tante, 5000 donne molto diverse tra loro per competenze, esperienze professionali e corsi di studi. Tante sono arrivate per passaparola, tante perchè hanno letto di noi, oppure perché hanno partecipato ai nostri eventi live, social e non. Tante sono anche arrivate mediante i social network“.

Le donne si iscrivono gratuitamente. Il form di iscrizione è molto intuitivo e permette loro di raccontare la propria storia professionale prescindendo dal classico CV. La prima parte riguarda le competenze, quindi si risponde alla domanda “che cosa sai fare?”, quali sono le lingue conosciute, il titolo di studio, l’esperienza lavorativa e gli anni di inattività, infine ci sono i campi sono dedicati alla flessibilità con la disponibilità di tempo e la disponibilità a muoversi. Un campo libero permette poi alle donne di raccontare la propria storia professionale e anche quello che cercano nei nuovi progetti.

“Non chiediamo l’età delle donne per essere il più inclusive possibile e dare a tutte le opportunità che si meritano – spiegano le due fondatrici – Tutto ciò accade nel totale riserbo e tutela della privacy. Infatti, all’interno dei database non si può fare browsing. È la donna che decide da quale azienda farsi vedere, semplicemente digitando il like sul progetto proposto”.

 

Quali le aziende pronte a questo progetto?

Le aziende che aderiscono al progetto sono innovative e lungimiranti, di norma aziende molto avanzate nel loro processo di digitalizzazione. Hanno quasi sempre multi-progetti in via di sviluppo e sono sempre alla ricerca di soluzioni e di nuovi modelli da applicare anche al loro lavoro di ricerca delle competenze.
Sono imprese moderne che cercano di trovare adesione e corrispondenza tra skill ricercate e progetto dedicato.
Hanno una sensibilità particolare ai progetti di sostenibilità sociale ed in particolare al tema del lavoro femminile. “Sostenendo un progetto come il nostro si aiuta l’Italia a ripartire con tutti le forze disponibili in campo senza escludere nessuno – dichiarano Ilaria e Laura. Il progetto riscuote tanta approvazione tra le aziende, ma a volte ci sono temi di budget oppure di necessità di più tempo che impediscono le collaborazioni. “Ci rendiamo conto che stiamo chiedendo opportunità professionali in un momento difficile per tutti, aziende comprese. Confidiamo nella ripartenza e di conseguenza in una più naturale e spontanea adesione“.

Le aziende clienti trovano spazio nella home page di WAB. La tipologia varia da grandi aziende, tutti player di riferimento nel loro settore, alle start up, da aziende medie, piccole e studi professionali, alle istituzioni.
Ciò che le contraddistingue è la lungimiranza, la sensibilità verso il tema dell’occupazione femminile e l’uso di strumenti innovativi efficienti ed efficaci.

I profili delle professioniste, invece, sono diversi e spaziano su un panel di 5000 iscritte che comprende donne di ogni età, dalle neolaureate o neodiplomate in tempi di pandemia, a chi è più grande con tanta esperienza lavorativa alle spalle ed è alla ricerca di una rinascita professionale.
Ci sono donne attualmente impegnate, che testano il mercato delle proprie professioni.
Provengono da tutto il territorio nazionale, parlano le lingue, spesso più di una.
Ci sono donne che hanno lavorato nella comunicazione, in tutte le funzioni aziendali, donne ingegnere in biomedicina al civile, architetti, avvocati e commercialisti, psicologhe e matematiche, anche veterinarie.
Una bella fotografia di un bacino di risorse pronte a mettersi in gioco per imparare nuove competenze e per ritrovare una nuova propria dimensione.

Riguardo ai feedback delle professioniste, Laura e Ilaria affermano: “I feedback sono molto positivi, ci sono le più digitali entusiaste dello strumento che abbiamo messo loro a disposizione, le più timorose che, una volta capite le potenzialità, ci scrivono messaggi spesso commoventi. La frase che ci dicono più spesso è: “Mi avete cambiato la vita”.
Abbiamo notato anche una grandissima risposta a tutte le opportunità di formazione offerta. Sono donne che non smettono mai di imparare per essere al passo con i tempi. E qui il feedback è sicuramente un enorme grazie!“

 

In quali modi il progetto sta funzionando, cosa non funziona e come si può migliorare

Le aziende aderiscono al progetto, postano le proprie ricerche di competenze e in 6 mesi la piattaforma ha generato già più di 1000 match. Questo non significa che 1000 donne abbiano trovato un progetto ma significa che innanzitutto ci sono le offerte da parte delle aziende e, quindi una ripresa, e che a fronte delle richieste ci sono le competenze per ripartire. Il progetto ha solo un anno di vita, c’è ancora molto da fare. “Tutto è migliorabile, siamo già sulla fase due di tanti aspetti del nostro progetto. La cosa stupenda di essere una startup è che si cresce con i nostri clienti, ascoltando le loro esigenze e trovando soluzioni intelligenti e innovative insieme – affermano le due fondatrici – Il nostro impegno è quello di crescere e di fare circolare il maggior numero possibile di competenze femminili, e si può sempre fare di più e meglio per dare a tutte una nuova opportunità e una dimensione di vita personale e professionale che sia in armonia e che permetta di raggiungere un equilibrio che tutti cerchiamo“.

Le aziende più adatte a questo progetto sono quelle digitali. Questo comporta un’esclusione di quelle che sono ancora in fase di innovazione dell’organizzazione del lavoro con il digitale. Allo stesso modo, essendo un progetto che richiede budget importanti, non può accogliere le aziende che non hanno fondi sufficienti per aderire. Secondo l’Istat, nello studio del 2020, circa l’82% delle imprese con almeno 10 addetti si colloca a un livello ‘basso’ o ‘molto basso’ d’adozione dell’ICT, Information Communication Technology, il restante 18% si posiziona su livelli ‘alti’ o ‘molto alti’ di digitalizzazione. Inoltre, solo le grandi aziende integrano le tecnologie più avanzate.

Il livello di familiarità con il digitale è un limite che riguarda anche le donne. Secondo il rapporto 2020 della Commissione europea sulle competenze digitali delle donne, mentre il tasso maschile di cittadini Ue che non hanno mai usato internet è crollato dal 40% del 2009 a circa il 15% di 10 anni dopo, quello femminile è ancora fermo intorno al 19%, un ritardo di circa 2 anni rispetto ai maschi. In particolare, in Finlandia, Svezia, Danimarca e Paesi Bassi si registrano i tassi di partecipazione digitale delle donne più alti del continente. Al contrario, “le donne in Bulgaria, Romania, Grecia e Italia hanno meno probabilità di partecipare” al mondo digitale in termini di occupazione, ma risultano indietro anche sull’uso di Internet o sulle competenze informatiche.

Women at Business è un progetto in divenire che ha già messo in luce due lezioni importanti. La prima è che le donne sono davvero capaci di reagire e hanno la forza e l’energia per ripartire, sono lucide nell’interrogarsi sul futuro e nell’affrontare le nuove sfide. La seconda, che esistono imprese virtuose che possono fare la differenza, credono nella parità di genere e valorizzano le competenze di qualità anche nelle donne. 

 

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