Women up, Cinzia: “La mia azienda vince premi per l’inclusività e intanto mi mette da parte”
di Sarah Victoria Barberis
Una ufficio può all’improvviso ricordare un cortile di scuola dove vince chi fa la voce grossa. Spesso i bulletti sono uomini, apparentemente adulti e di successo, che delle donne in ambito lavorativo non sanno che farsene, soprattutto se sono donne di una certa età. Questa è l’amara verità con la quale dobbiamo spesso convivere, perfino nelle aziende che si proclamano paladine dell’inclusività, della diversità e della sostenibilità. Ma che al loro interno hanno tutto un altro alfabeto. Forse non cambieranno mai, questi uomini in carriera, forse è il momento di cambiare noi atteggiamento e trovare nuove strade per la nostra valorizzazione. Oggi parliamo della storia di Cinzia, commentata da Laura Basili, fondatrice di Women at Business, piattaforma tech gratuita per aiutare il match perfetto tra donne e lavoro.
Cara redazione,
lavoro da anni nello stesso posto. Prima era una municipalizzata, poi è stata aggregata ad un gruppo importante, che la controlla in toto. La mia esperienza si traduce in una grande delusione: quando il prestigioso brand ha acquisito la realtà territoriale, più di dieci anni fa, io ero fra le persone segnalate per impegno e risultati. Mi hanno messa alla prova, con risultati immediati, mi hanno sfruttata allo sfinimento in una posizione aziendale difficilissima, e poi mi hanno messa da parte, spiegandomi che non era vero, motivando la cosa con posizioni in catena del valore. Figurarsi!
Trascuro di raccontare i meccanismi interni, dico solo che il gruppo tanto quotato (anche in Borsa) è stato abilissimo a crearsi un'immagine pubblica e nei confronti dei suoi sostenitori e finanziatori, molto brillante, fatta di termini come "Sostenibilità, Inclusione, Parità di Genere, Creazione di Valore, Certificazioni, Sicurezza, ecc..."
Peccato che a tutto ciò corrisponda una realtà interna nei confronti del personale a dir poco sorprendente e mortificante. Mi spiego e semplifico:
ho 60 anni e adesso mi rendo conto di quanto abbia sacrificato me stessa per il lavoro in questa azienda nella quale opero da decenni, credendoci. Mi hanno messa da parte, sottotraccia, senza una qualche argomentazione. Non posso pensare alla pensione, date le circostanze e le leggi sull'argomento, e qui in azienda faccio poco o nulla di finalizzato. Io mi do da fare comunque perché questa è la mia cultura del lavoro. Mi hanno messa da parte, e delle mie competenze (assicuro che ne ho) non vogliono servirsi, evitano accuratamente di coinvolgermi, anche se sanno che potrei essere utile. Tutti fanno finta di niente; solo in un'occasione, il responsabile del personale, un giovane dirigente, seccato, buono a nulla ed esecutore perfetto di un AD che lo tiene in pugno, è sbottato dicendomi "puoi andartene".
Non c'è nessuno in azienda, pari al mio ruolo come anzianità, inquadramento e collocazione, che sia così esageratamente emarginato. Vengo trattata anche con sarcasmo. E mi fanno sentire un costo e un intralcio. Vogliono personale giovane, molto “skillato” e compiacente, da far correre e impazzire, da strizzare e poi mettere da parte.
Intanto raccontano favole sull'inclusione di genere e di age, tanto da vedersi attribuiti premi nazionali, internazionali, secondo indicatori da loro stessi valutati. Il personale è assuefatto e intimorito, nessuno li mette in discussione. Il sindacato è residuale, vista l'epoca, e l'azienda tratta ogni situazione singolarmente, evitando accordi sindacali, anche laddove la legge lo prevede.
Ultimamente, ho visto un direttore che stimavo molto riesumare il peggiore degli stereotipi di genere: la segretaria che serve il caffè. Non mi ricordavo di aver mai assistito a queste scene in azienda.
Posso solo tenere memoria di ogni evento o situazione scandalosa, perché avrò pazienza e al momento opportuno saranno i fatti a parlare: la mia etica mi impedisce di lasciare che tutto ciò sia consentito senza fare nulla. So che questo li innervosisce molto per la reputazione nazionale ed internazionale che ritengono di avere, ma mi farò trovare pronta.
Cinzia
Il commento di Laura Basili, fondatrice di Women at Business
Cara Cinzia,
comprendo perfettamente la frustrazione e il senso di ingiustizia che emergono dalla tua lettera, ma è fondamentale evitare di assumere un atteggiamento vittimistico che non porta lontano. Concentrati sulle tue capacità e sulle tue risorse, e cerca di trasformare questa esperienza in un'ulteriore opportunità di crescita.
Ritengo che sia fondamentale affrontare la situazione in modo costruttivo e proattivo, provando a cambiare prospettiva, anche perché continuare ad accumulare prove, “tenere memoria di ogni situazione scandalosa” pur essendo legittimo, non mi sembra essere stata la strategia più efficace.
Spesso chiediamo alle aziende e alle istituzioni di fare di più per la parità di genere e l'inclusione. Eppure, il cambiamento più profondo inizia proprio da noi. Ci hai mai pensato?
Forse è arrivato il momento di trasformare la tua frustrazione in azione concreta. Ognuno di noi ha il potere di essere un agente di cambiamento, di sfidare gli stereotipi e di creare un ambiente di lavoro più equo e inclusivo. Iniziamo da noi, ispirando gli altri con il nostro esempio e costruendo insieme un futuro dove tutti abbiano le stesse opportunità.Per ottenere un cambiamento, tu devi fare il primo passo, e non puoi aspettarti che lo facciano gli altri, sii tu il cambiamento che vuoi vedere nella tua vita professionale.
Come? Innanzitutto, è necessario capire cosa desideri realmente: vuoi rimanere in quella azienda, ma con un atteggiamento proattivo, positivo, senza vecchi rancori?
Allora comincia da questi tre step:
Cerca un dialogo aperto: con il tuo responsabile diretto o con il responsabile delle risorse umane. Esprimi in modo chiaro e calmo le tue preoccupazioni, evitando accuse dirette e mantenendo un tono professionale. Focalizzati sui fatti e sulle conseguenze negative che questa situazione ha su di te e sull'azienda.
Evidenzia il tuo valore: Ricorda al tuo interlocutore le tue competenze e i tuoi contributi passati. Sottolinea come la tua esperienza possa essere preziosa per l'azienda e come la tua esclusione sia una perdita per tutti.
Proponi soluzioni: Potresti suggerire nuovi progetti o ruoli che ti permetterebbero di mettere a frutto le tue competenze. Ad esempio, in ottica di inclusione perché non proponi un progetto di reverse mentoring: metti a disposizione dei giovani colleghi la tua esperienza e conoscenza dell’azienda, in cambio di condivisione di competenze magari digitali, che tu non hai. Proponi possibili soluzioni per raccontare l’inclusione. Diventa tu la protagonista “delle favole sull'inclusione” contro la discriminazione di genere e di età che alla tua azienda piace raccontare!
Se invece non vuoi rimanere in quell’ambiente professionale perché ormai tossico per te, allora cambia!
Cerca una soluzione alternativa e concentra le tue energie nel trovare nuove opportunità, segui corsi di formazione per acquisire le competenze più richieste dal mondo del lavoro.
Il cambiamento, può sembrare lento e difficile, ma è un percorso che vale la pena intraprendere se vogliamo costruire un mondo dove ognuno si senta valorizzato e incluso.
E mentre rifletti sul tuo percorso ti lascio con una citazione di Albert Einstein:
“La donna che segue la folla di solito non va oltre la folla. La donna che cammina da sola corre il rischio di esplorare posti che nessuno ha mai visto prima”.