8 domande da fare (e da farti) se vuoi cambiare lavoro

8 domande da fare (e da farti) se vuoi cambiare lavoro

8 domande da fare (e da farti) se vuoi cambiare lavoro

Oggi che il posto fisso è un miraggio, anche chi ce l’ha non si accontenta. Secondo l’Osservatorio Hr Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, tra il 2022 e il 2023 il 46% dei lavoratori ha cambiato lavoro o ha dichiarato di averne intenzione. «Le vecchie generazioni erano disposte a pagare un prezzo pur di tenersi un impiego “per sempre”, oggi non lo siamo più» riflette la career coach Stefania Baita. «Ma nel momento in cui si decide di voltare pagina, è bene avere le idee chiare su ciò che si vuole, e su cosa si è disposti a fare un passo indietro. Anche davanti al recruiter, è bene sedersi sapendo cosa chiedere». Non è semplice, tanto che il 41% di quelli che hanno cambiato impiego, dicono ancora i dato dell’Osservatorio Hr, si è pentito della scelta fatta. Ecco allora qualche consiglio.

 

A cura di Giorgia Nardelli

Cosa voglio?
Quali sono le mie priorità?
Conosco il mio valore?
Sono disposto a mettermi in gioco?
Ricorda: nulla è per sempre
Che retribuzione prevede questo lavoro?
Che percorso di carriera è previsto?
A quali valori si ispira l’organizzazione?

LE DOMANDE DA FARE A SE STESSI

Cosa voglio? 
Parlare a se stessi, dunque, e schiarirsi le idee. Cosa significhi lo spiega la nostra Stefania Baita che negli Usa, dove vive, segue spesso persone alle prese con i cambi di carriera. «Spesso quando si lascia un lavoro si scappa da qualcosa: da un capo insopportabile, da ritmi di lavoro impossibili, da paghe basse, oppure da un ambiente tossico. Di questo è facile rendersi conto, meno automatico è chiarire a se stessi cosa si vuole davvero. Desideri lasciare un impiego che non ti dà flessibilità, va bene, ma cos’è che cerchi? Lo smart working due giorni a settimana? Lavorare da casa? Il part-time? Oppure vuoi guadagnare di più, ma quanto? Il passo da fare è passare dal cosa non voglio al cosa voglio, è così che vengono fuori i pezzi mancanti».
 
Quali sono le mie priorità?
«Tutti noi partiamo dal presupposto di cercare l’occupazione dei sogni, in questo non c’è nulla di male» prosegue Baita. «Ma dobbiamo riflettere sul fatto che un lavoro non può darci tutto. Dopo avere messo in chiaro cosa cerchiamo, definiamo una scala di priorità e capiamo a cosa siamo disposti a rinunciare per avere quello a cui teniamo maggiormente. Un esempio: chiediti cosa ti serve da qui ai prossimi 5 anni. Se avere una retribuzione maggiore è la tua esigenza fondamentale, devi essere disposto a far passare in secondo piano qualche altra cosa. La tentazione è di volere tutto e subito, è umano ma non ci aiuta». Il discorso vale anche quando ci troviamo di fronte a una scelta non esaltante, prosegue l’esperta:  «Legittima è anche la scelta di chi perde il lavoro, e magari cerca un impiego simile, oppure accetta un’offerta non proprio esaltante, pur di fare in fretta. Se la priorità è non restare senza stipendio, la scelta è condivisibile, l’importante è farla consapevolmente».
 
Conosco il mio valore?
Perché questa domanda? «Vale per tutti, ma dovrebbero porsela soprattutto le donne. Il più delle volte le lavoratrici hanno ruoli che non collimano con  le proprie competenze», esordisce Laura Basili, co-founder con Ilaria Cecchini di Women at business, piattaforma tecnologica di matching tra donne e aziende, con un osservatorio privilegiato: una community di oltre 12.000 profili al femminile. «Bisogna essere consapevoli del proprio valore, in altre parole, crederci. Sapere chi siamo, cosa sappiamo fare e quale apporto possiamo dare in un contesto lavorativo. È fondamentale quando ci troviamo davanti a una persona che sta selezionando un profilo per la propria organizzazione». Il punto, fa capire l’esperta, non è tanto “fare in modo di essere selezionati” ma partire con il mindset nuovo. Quello di chi ha come obiettivo capire se le proprie esigenze si incontrano con gli obiettivi aziendali, se quel ruolo è adatto a sé, e cosa potrà darle.
 
Sono disposta a mettermi in gioco? 
Anche se il ruolo che andremo a ricoprire sarà lo stesso, le mansioni simili o uguali, il nuovo lavoro prevederà necessariamente una fase di apprendimento. «E se vogliamo cambiare dobbiamo essere disposti ad accettarlo» dice Baita. «Ogni volta che affrontiamo un ambiente diverso, in un’azienda che ha dinamiche proprie e priorità probabilmente differenti, ci occorreranno l’umiltà e la curiosità del principiante. La curva di apprendimento certo sarà più veloce rispetto a quella di una persona alla prima occupazione, ma se entriamo in un contesto che ancora non conosciamo ci sarà molto da imparare. Non tanto dal punto di vista tecnico - a volte si tratta di andare a fare lo stesso lavoro - quanto da quello relazionale. C’è da confrontarsi con nuove persone, un nuovo team, capire come funziona l’ambiente. È questo che spesso fa la differenza, e se non entriamo in quest’ottica potremmo andare incontro a qualche delusione e a qualche batosta. Chiediamoci, allora quanto siamo disposti a essere umili. E ripetiamo a noi stessi che siamo lì anche per imparare un altro “pezzettino”».
 
I miei bisogni di oggi saranno davvero “per sempre”?
Nulla è per sempre. Più che una domanda, questo è un concetto da fissare per sapere in che direzione andare. «Le nostre priorità di oggi non saranno le stesse tra 10-20 anni, perché inevitabilmente la nostra vita cambierà. Nonostante questo, quando siamo alla ricerca di una nuova occupazione tendiamo a desiderare il lavoro che ci dia tutto e “per sempre”. Si tratta di un errore, proiettarsi troppo in là nel tempo significa guardare da una prospettiva che distorce il tutto» continua la career coach. Il consiglio è fermarsi all’obiettivo del momento, perché i problemi si affrontano man mano che si presentano, le situazioni e le condizioni sono in continuo movimento. «Se oggi sei disposto a fare un lavoro che ti porta in trasferta tra 3-5 giorni a settimana, non puoi bloccarti pensando che forse in futuro vorrai stare a casa. Prendi con serenità la responsabilità di dire “per ora voglio questo, il resto lo aggiusto strada facendo”».
 
LE DOMANDE DA FARE AL RECRUITER
Che retribuzione prevede questo lavoro?
Non bisognerebbe avere paura di porre la questione “soldi”. Ciò che un’azienda è disposta a spendere per le nostre competenze è parte integrante della trattativa, e in un certo senso definisce il nostro valore ai suoi occhi. «Le donne, in particolare, non sono state abituate a parlare di soldi, e questo si riflette anche sui loro stipendi, che sono in media il 30% più bassi di quelli dei colleghi uomini. Va cambiato l’approccio, e va compiuto un passo in apparenza difficile, ma necessario. Quando parliamo di retribuzioni non stiamo “chiedendo” qualcosa, ma stiamo tirando in ballo un aspetto strettamente legato alle competenze e all’esperienza che offriamo. Sapere subito quanto sarà corrisposto per questo, fa parte del gioco, e non è un elemento secondario, tutt’altro» dice Laura Basili. Per capirlo meglio, va rovesciato il punto di vista, continua l’esperta: «Sei tu a scegliere il lavoro, non il contrario, il tuo obiettivo è trovare qualcosa che vada bene per te e ti valorizzi. Al centro ci sei tu, con la tua professionalità da condividere. Cosa ti dà l’azienda in cambio? E come intende valorizzarla?».
 
Che percorso di carriera è previsto? 
“Dove ti vedi tra cinque anni?” è la domanda “di rito” che i responsabili delle Risorse umane pongono ancora oggi in fase di colloquio. In realtà sarebbe meglio che fosse il candidato a porre il quesito, ribaltando la prospettiva: «La risposta non solo ti aiuterà a guardare in prospettiva, ma è un ottimo test per comprendere che tipo di organizzazione hai di fronte. L’obiettivo è capire se quella è un’azienda che investe nelle risorse umane e se tu avrai modo di accrescere e tue competenze. Domanda anche se sono previsti corso di formazione, tutoraggi, iniziative rivolte a migliorare le competenze del personale. Naturalmente la crescita deve restare ancorata alla retribuzione. Crescere non vuol dire semplicemente vedersi attribuire nuove funzioni con una bella pacca sulla spalla»  chiarisce Ilaria Cecchini. «Bastano poche domande, ma centrate, per rendersi conto qual è il sistema di valori aziendale, e se il contesto ti permetterà di fiorire professionalmente ed economicamente».
 
A quali valori si ispira l’organizzazione?
Ci sono quesiti che possono sembrare “scomodi”, ma che servono per intercettare la politica di un’azienda, e scoprire che aria si respira tra le sue mura. Come viene gestita la genitorialità, il lavoro di cura di chi ha esigenze familiari particolari? «Sulla base delle risposte è semplice capire se quel posto fa al caso tuo. Se, per esempio, non sono mai state adottate politiche a favore per la genitorialità, rivolti a padri e a madri, o politiche per conciliare lavoro e famiglia, è difficile credere che una madre possa fare una grande carriera lì dentro. Meglio informarsi prima, per poter valutare con attenzione» prosegue Cecchini. Tenendo a mente una cosa, se sei una donna, riflettono le due imprenditrici: per anni, e ancora oggi, i recruiter potevano permettersi domande come: “hai intenzione di avere figli?”, per poi tagliare fuori chi ammetteva di volerlo. Ora dovrebbero essere le donne e anche gli uomini a porre la questione ai selezionatori, ma al rovescio.
 

 

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